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Con una “mini riforma” del diritto societario (Decreto liberalizzazioni), il Legislatore ha introdotto nell’ordinamento italiano la “srl semplificata”. Si noti, comunque, che tale società non rappresenta un’“innovazione epocale”, trattandosi di un istituto sostanzialmente mutuato dagli ordinamenti di molteplici Stati comunitari, di cui, peraltro, non pare si siano importati gli aspetti più qualificanti. Una struttura simile, per capitale minimo, alla nostra srl semplificata è di fatto la norma in Inghilterra, ove la srl (private limited company) può essere costituita con capitale minimo da versare pari ad una sterlina. In Francia, la riforma entrata in vigore il 1° Agosto 2003 ha consentito a tutte le sarl (société à responsabilité limitée) di essere costituite con il capitale minimo, simbolico, di un euro. Inoltre, una particolare struttura societaria, per certi aspetti simile alla nostra srl semplificata, è prevista dal 2008 in Germania (Unternehmergesellschaft) e recentemente (nel 2010) è stata fatta propria anche dal Legislatore belga (société privée à responsabilité limitée - “Starter”, SPRL-S). La nostra srls (d’ora innanzi utilizzeremo l’acronimo) presenta alcuni aspetti positivi, ma anche criticità che, ad onor del vero, appaiono prevalenti sui primi. Due gli aspetti positivi: i costi costitutivi sostanzialmente dimezzati, dai 1.500/2.000 euro necessari per la srl ordinaria con 10.000 euro di capitale ai circa 700/800 euro per le srls, e la possibilità per i soci di non versare il capitale minimo (2.500 per le normali srl costituite con 10.000 euro da una pluralità dei soci). Inoltre, con l’ultima stesura dell’art. 2463-bis c.c. non è più richiesto che i soci con età superiore ai 35 anni vengano esclusi automaticamente dalla società, essendo il requisito giovanile (peraltro sconosciuto in tutte le strutture societarie europee assimilabili) solo precondizione richiesta a tutti i soci per la costituzione della società.
Tuttavia, se la nuova tipologia societaria viene agevolata ai nastri di partenza, non usufruisce di alcuna agevolazione lungo la sua operatività. Ad esempio, in merito ai costi amministrativi, alle società italiane (ad oggi) non vengono riservate agevolazioni di sorta sulla tassa annuale sui libri sociali o su quella dell’iscrizione presso il Registro delle imprese (non richiesta alle società inglesi); a livello fiscale, non sono previste agevolazioni IRES (nelle società inglesi, al di sotto di 300.000 sterline di reddito si pagano imposte pari al 20%), né è prevista la fatturazione in esenzione IVA (ammessa per le micro-società inglesi che fatturano meno di 73.000 sterline), né è prevista la tenuta di contabilità semplificata (questa, si ritiene, sarà forse introdotta con il bilancio in forma semplificata tratteggiato, ma ancora in attesa di regolamentazione, dall’art. 14 della L. n. 183/2011). Ma l’aspetto più originale della società italiana è la cronica (e difficilmente comprensibile) sottocapitalizzazione con cui la stessa sarà chiamata ad operare. In Germania, ad esempio, è d’obbligo per i soci della piccola società di capitali accantonare a riserva il 25% degli utili, fino ad arrivare ad un capitale di 25.000 euro, all’evidente scopo di consentire (anche se non sussistono obblighi a riguardo) la trasformazione della società in una normale GmbH, equivalente alla nostra srl. Ancora più incisivo sul tema appare il Legislatore belga, il quale prevede che, dopo al massimo cinque anni dalla costituzione (o comunque all’assunzione del quinto dipendente), la società si trasformi in una srl ordinaria con capitale minimo di 18.500 euro. In Italia, la logica appare completamente diversa e, per certi versi, “perversa”. La società non solo non è chiamata a patrimonializzarsi ma, addirittura, la sua capitalizzazione deve rimanere al di sotto dei 10.000 euro. Tale situazione, da un lato, determinerà alle srls “cronici problemi di sottocapitalizzazione” e contestuali difficoltà a ricorrere al mercato dei finanziamenti esterni, dall’altro, stante la mancata esclusione dell’inapplicabilità dell’art. 2467 c.c., oggettive difficoltà a ricorrere anche al finanziamento dei soci. Infine, un’ultima considerazione attiene al fatto che la srls sarà costituita con iscrizione al Registro delle imprese senza costi per bolli e spese di segreteria e, soprattutto, senza oneri notarili. In relazione a questa circostanza, tuttavia, non sarà verosimile ritenere che un notaio, quale professionista, anteponga gli atti in cui è legittimato ad emettere parcella a quelli inerenti la costituzione di tali società? Se così fosse, società che dovrebbero avere nella snellezza e solerzia costitutiva una delle proprie caratteristiche peculiari rischiano di veder slittare di settimane o mesi la propria costituzione rispetto alle intenzioni dei soci. A tal fine, è vero che viene richiesto al Notariato di vigilare sulla corretta e tempestiva applicazione delle disposizioni dell’art. 2463-bis c.c., ma, se si voleva coinvolgere la categoria notarile, probabilmente sarebbe risultato più efficace stanziare un “piccolo fondo pubblico” finalizzato almeno al rimborso delle spese notarili per la costituzione di tali soggetti.
In definitiva, l’idea della srls non è priva di interesse pratico, ma la norma andrebbe migliorata e la creazione di tali società ulteriormente stimolata con disposizioni per il risparmio amministrativo e fiscale, se non in via permanente, almeno per i primi tre o cinque anni di attività. Diversamente, il tutto rischia di restare nell’ambito delle “belle idee” e – si sa – di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno.
Con un provvedimento di ieri, l’Agenzia delle Entrate ha approvato il modello e le relative istruzioni per comunicare l’adesione alla disciplina di deroga alle limitazioni del denaro contante. A tal proposito, si ricorda che l’art. 3, comma 1 del DL n. 16/2012, per agevolare l’attività delle imprese italiane che operano nel settore del commercio al minuto e delle agenzie di viaggio e turismo, ha introdotto una deroga al limite all’uso del contante in virtù della quale i turisti stranieri possono effettuare acquisti anche per importi pari o superiori a 1.000 euro.
In particolare, il DL dispone che, per l’acquisto di beni e di prestazioni di servizi legati al turismo effettuato presso soggetti di cui agli artt. 22 e 74-ter del DPR 600/73 (cioè presso esercenti il commercio al minuto, o attività assimilate, e presso agenzie di viaggi e turismo) da persone fisiche di cittadinanza diversa da quella italiana e comunque diversa da quella di uno dei Paesi dell’Unione europea (ovvero dello Spazio economico europeo), che abbiano residenza fuori dal territorio dello Stato, non opera il divieto di trasferimento di denaro contante per importi pari o superiori a 1.000 euro di cui all’art. 49, comma 1 del DLgs. 231/2007. La deroga citata è però applicabile solo in presenza di precise condizioni.
Innanzitutto, il cedente del bene o il prestatore del servizio devono acquisire, all’atto dell’effettuazione dell’operazione, sia la fotocopia del passaporto del cessionario e/o committente, sia un’apposita autocertificazione di quest’ultimo attestante il fatto di non essere cittadino italiano, né di uno dei Paesi dell’Unione europea e dello Spazio Economico Europeo, oltre a possedere la cittadinanza al di fuori del territorio dello Stato.
Nel primo giorno feriale successivo a quello di effettuazione dell’operazione, il cedente del bene e il prestatore del servizio devono versare il denaro contante incassato in un conto corrente intestato al cedente o al prestatore presso un operatore finanziario, consegnando a quest’ultimo fotocopia del passaporto e della fattura o della ricevuta o dello scontrino fiscale emesso. Inoltre, l’art. 3, comma 2 del DL stabilisce che tale disposizione opera a condizione che i cedenti o i prestatori che intendono aderire alla disciplina di deroga inviino apposita comunicazione preventiva all’Agenzia delle Entrate, secondo modalità e termini stabiliti con provvedimento del Direttore dell’Agenzia stessa, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto. Il provvedimento di ieri ha approvato, quindi, il modello per la comunicazione preventiva, che deve essere presentato all’Agenzia delle Entrate, con modalità esclusivamente telematica, prima di effettuare le operazioni di cui all’art. 3, comma 1 del DL n. 16/2012.
Scadrà il 31 marzo prossimo il termine entro il quale i libretti di deposito bancari o postali al portatore con saldo pari o superiore a 1.000 euro devono essere estinti (ovvero entro il quale il loro saldo deve essere ridotto nel suddetto limite). L’art. 49, comma 12 del DLgs. 231/2007, come modificato dall’art. 12, comma 1 del DL 201/2011 convertito, stabilisce che il saldo dei libretti al portatore non può essere pari o superiore a 1.000 euro (e non più a 2.500 euro).
La violazione di tale prescrizione implica l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria dal 20% al 40% del saldo, con un minimo di 3.000 euro (art. 58, commi 2 e 7-bis primo periodo del DLgs. 231/2007).
Con riguardo ai libretti al portatore con saldo superiore a 50.000 euro, le sanzioni minima e massima sono aumentate del 50% (art. 58, commi 2 e 7-bis terzo periodo del DLgs. 231/2007).
Quindi, si applica la sanzione dal 20% al 40% del saldo ove questo sia compreso tra 1.000 e 50.000 euro, con un minimo di 3.000 euro, e la sanzione dal 30% al 60% del saldo ove questo sia superiore a 50.000 euro. L’art. 49, comma 13 del DLgs. 231/2007, come modificato dall’art. 12, comma 1 del DL 201/2011 convertito, inoltre, ha precisato che i libretti al portatore con saldo pari o superiore a 1.000 euro devono essere estinti (ovvero il loro saldo deve essere ridotto nel suddetto limite) entro il 31 marzo 2012. Sembra, peraltro, possibile ovviare a tali adempimenti tramite la trasformazione dei libretti in questione in nominativi.
Alla violazione di quest’ultima prescrizione è dedicata una specifica disciplina sanzionatoria modificata in sede di conversione in legge del DL 201/2011 (cfr. l’art. 12, comma 1-bis del DL 201/2011 convertito). In tale contesto, infatti, si è precisato che, per i libretti con saldo pari o superiore a 1.000 euro, nel caso di mancata estinzione ovvero di mancata riduzione del saldo ad un importo inferiore a 1.000 euro, entro il 31 marzo 2012, la sanzione sarà pari al saldo del libretto stesso ove questo sia inferiore a 3.000 euro.
Ne consegue che la violazione della disposizione in esame determinerà una sanzione amministrativa pecuniaria:
- pari al saldo del libretto, se di importo inferiore a 3.000 euro (art. 58, comma 7-bis ultimo periodo del DLgs. 231/2007);
- dal 10% al 20% del saldo con un minimo di 3.000 euro, nel caso di saldo compreso tra 3.000 e 50.000 euro (ex art. 58, commi 3 e 7-bis primo periodo del DLgs. 231/2007);
- dal 15% al 30% del saldo, nel caso in cui esso sia superiore a 50.000 euro (ex art. 58, commi 3 e 7-bis terzo periodo del DLgs. 231/2007).
Il tutto con obbligo, per l’intermediario finanziario che accerti l’infrazione, di comunicarla (ex art. 51, commi 1 e 2 del DLgs. 231/2007) alla competente Ragioneria territoriale dello Stato. Sul tema, la circolare 4 novembre 2011 del Ministero dell’Economia e delle Finanze ha precisato che la comunicazione in questione deve essere effettuata non oltre trenta giorni dal momento in cui l’intermediario ha notizia della violazione. Tale momento è individuato nell’atto di presentazione, in banca o presso Poste italiane S.p.A., del libretto al portatore; escludendosi, quindi, un obbligo, per l’intermediario, di accertare l’esistenza di libretti al portatore “irregolari” attraverso il ricorso, ad esempio, ad estrazioni informatiche. Le sanzioni di cui sopra trovano applicazione anche quando, ex art. 49, comma 14 del DLgs. 231/2007, in caso di trasferimento di libretti di deposito bancari o postali al portatore, il cedente non comunichi, entro 30 giorni, alla banca o a Poste Italiane S.p.A., i dati identificativi del cessionario, l’accettazione di questi e la data del trasferimento (cfr. i commi 3 e 7-bis penultimo ed ultimo periodo dell’art. 58 del DLgs. 231/2007).
Fonte: Eutekne
Lui è avvocato, lei commercialista. Hanno due figli e vivono a Roma in una casa di proprietà. Per loro, le tasse locali nel 2012 saranno più care di 1.119 euro. Un aumento del 154% rispetto agli importi pagati l'anno prima. Colpa dell'Imu sull'abitazione principale e delle addizionali comunali e regionali all'Irpef. I numeri di Roma colpiscono, ma non sono un caso isolato: per la stessa famiglia, a Milano la stangata sarebbe di 394 euro (+90%) e a Bari di 356 euro (+50%). I Comuni hanno tempo fino al 30 giugno per approvare i preventivi 2012, ma la via dei rincari in molti casi è tracciata: i dati riportati nel nostro grafico mostrano che circa 40 capolouoghi di provincia – tra quelli che hanno risposto al Sole 24 Ore – hanno già messo in agenda l'aumento dell'addizionale Irpef o stanno studiando aliquote Imu superiori a quelle base definite a livello nazionale. Sono scelte che condizioneranno i bilanci familiari non solo per quest'anno, ma anche per il 2013. L'aumento dell'addizionale comunale, infatti, anche se deciso in questi giorni, è destinato a pesare sulle tasse pagate l'anno prossimo. Ad esempio, la famiglia di professionisti di Bari, in prospettiva, deve mettere in conto altri 129 euro di Irpef municipale.
Vista dalla parte degli amministratori, la compilazione del bilancio è un gioco a incastri complicato. Anche per via del fatto che metà del gettito dell'Imu finirà allo Stato (esclusi solo gli incassi da prime case e fabbricati rurali strumentali). A Padova, ad esempio, si stima che applicando le aliquote Imu ordinarie – 0,4% sulle abitazioni principali e 0,76% sugli altri fabbricati – il Comune perderà circa 5 milioni di euro rispetto all'Ici.
Si spiegano così le aliquote all'1,06% – il livello massimo – su seconde case e immobili produttivi in diverse città: da Latina a Pesaro, da Bergamo a Caserta. E si spiegano così anche gli sconti praticamente assenti per la prima casa: a parte Monza (che potrebbe aumentare da 200 a 300 euro la detrazione fissa per tutti) e Sondrio (che sta studiando di portarla a 250 o 300 euro) nessun Comune è orientato ad abbassare l'aliquota sotto lo 0,4 per cento. La geografia dei rincari è tutt'altro che omogenea. Ci sono città che hanno scelto di aumentare solo l'Imu, altre che interverranno solo sull'Irpef, e altre ancora che azioneranno entrambe le leve. E questo dipende da diversi fattori. Proprio Sondrio, ad esempio, ha portato l'addizionale comunale allo 0,8% già nel 2007 e non ha molti spazi di manovra in questo campo. Milano, invece, i margini per non aumentare l'Irpef se li è conquistati grazie alle risorse ricavate con il recente accordo sui derivati.
Le entrate extra, insieme ai tagli delle spese superflue, sono l'unica alternativa al rincaro delle tasse. Ma in qualche caso, come a Parma, è la situazione di bilancio del Comune – attualmente commissariato – a dettare l'ordine del giorno: addizionale Irpef allo 0,8% e aliquote Imu al massimo (0,6% prima casa e 1,06% altri immobili). Un numero crescente di Comuni sta studiando di applicare l'addizionale per scaglioni di reddito, partendo ad esempio dallo 0,4% fino a 15mila euro annui, poi salire gradualmente allo 0,8% oltre i 55mila euro. Il dato di fondo, però, non cambia. E i rincari colpiranno in modo trasversale anche i lavoratori dipendenti e i pensionati, che hanno già risentito in busta paga o sulla pensione dell'aumento dello 0,33% dell'addizionale regionale. Ad esempio, un funzionario di banca milanese con una media anzianità di servizio e due immobili (la casa in cui vive e un alloggio al mare), nel 2012 rischia di pagare quasi 1.200 euro in più. A Roma e Bari se la caverebbe con circa 700 euro. Ma non è una gran consolazione.
FONTE: ILSOLE24ORE
Riscossione coattiva meno aggressiva, ma non per questo meno determinata, con l'avvento delle nuove soglie in materia di esproprio dei crediti presso terzi e di espropriazione immobiliare, destinate a condizionare sensibilmente l'azione esecutiva nei confronti dei debitori di Equitalia.
Cominciamo con l'esproprio dei crediti, per il quale il decreto legge 16/2012 interviene sul decreto 602/1973, una sorta di Testo unico della riscossione, aggiungendo l'articolo 72-ter, che fissa i limiti di pignorabilità di stipendi, salari e altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, incluse quelle dovute a seguito di licenziamento. D'ora in poi è previsto che l'agente della riscossione possa procedere al pignoramento del credito presso terzi in misura pari a un decimo dello stipendio, o del salario, se questo è di importo fino a 2mila euro e, per importi compresi fra 2mila e 5mila euro, in misura pari a un settimo: il risultato pratico è, al contempo, la riduzione della quota di prelievo dello stipendio o del salario e l'allungamento della dilazione "forzata". Va però prestata attenzione al fatto che il regime "di favore" concesso dal legislatore riguarda soltanto i debiti dei dipendenti con stipendi o salari di importo non superiore a 5mila euro, per i quali il pignoramento nella misura di un quinto è stato ritenuto eccessivamente penalizzante per il debitore.
Infatti, per salari o stipendi superiori il comma 2 del nuovo articolo 72-ter prevede che resti ferma la misura prevista dall'articolo 545, comma 4 del Codice di procedura civile: pertanto, nei confronti dei debitori morosi di Equitalia, titolari di stipendi, salari e altre indennità di importo superiore a 5mila euro si continuerà a procedere con il pignoramento del credito nella misura di un quinto.
Passiamo all'altra novità relativa alla nuova soglia prevista per l'espropriazione immobiliare: dal 2 marzo, data di entrata in vigore del decreto 16, la soglia è stata unificata a 20mila euro, a nulla rilevando l'utilizzo dell'immobile posseduto dal debitore. Pertanto, soltanto laddove quest'ultimo abbia un debito complessivamente superiore a 20mila euro, quindi frutto anche di diverse pretese erariali maturate nel tempo, l'espropriazione immobiliare potrà essere avviata: diversamente, quindi in caso di importo complessivamente inferiore alla nuova misura, l'azione di riscossione coattiva dovrà necessariamente seguire altre strade rispetto all'esproprio del bene
immobile. Infine, viene previsto che l'agente della riscossione può iscrivere la garanzia ipotecaria su un bene immobile a condizione che l'importo complessivo del credito per cui si procede non sia complessivamente inferiore a 20mila euro: il tutto non necessariamente per finalità esecutiva ma anche a titolo di cautela nelle ipotesi di presenza di eventuali altri creditori oppure di fallimento del contribuente/debitore.
FONTE: IL SOLE24ORE