
Prosegue senza sosta l’emorragia di aziende del commercio veronesi. Dopo un 2012 che ha visto abbassare le serrande 819 imprese sparse su tutto il territorio,
il 2013 si è chiuso con un altro dato negativo: 487 aziende hanno chiuso i battenti, per un bilancio, conteggiando le nuove aperture, di 210 imprese in meno. Questi i primi dati rilasciati dall’osservatorio Confesercenti sulla situazione delle imprese del commercio, turismo e servizi nell’anno precedente, dati che confermano il trend negativo iniziato nel 2009. Se da una parte il commercio al dettaglio non ride, dall’altra
i servizi legati al turismo non stanno molto meglio. Solo in città sono stati 81 i bar chiusi e ben 157 nel resto della provincia, per un bilancio negativo di 82 attività, mentre
i servizi di ristorazione hanno visto sparire 53 attività a Verona e 104 sul resto del territorio veronese. «I dati ancora una volta sono sconfortanti – ha spiegato Fabrizio Tonini, direttore di Confesercenti Verona – Non stiamo parlando di qualche bar o qualche negozio costretto a chiudere per una cattiva gestione, qui si tratta di realtà anche storiche, di imprenditori affidabili e preparati che storicamente hanno sempre avuto successo. Il problema è quindi più ampio e di conseguenza anche di più difficile soluzione». A soffrire maggiormente di questa situazione sembrano essere i negozi di abbigliamento e legati al mondo del tessile, con 144 imprese che hanno chiuso in tutta la provincia, di cui 37 solo nel Comune di Verona: «Il comparto dell’abbigliamento sta subendo la crisi in maniera molto più profonda rispetto ad altre tipologie di commercio – ha specificato Silvano Meneguzzo, presidente della Confesercenti scaligera – e basta guardare alle nostre vie dello shopping cittadino, Mazzini, Borsari, Cappello e Stella, dove molti negozi hanno chiuso lasciando spazio a grandi catene che spesso non rispondono ad imprenditori del territorio, ma ad holding straniere. L’impatto dei centri commerciali, poi, sta dando il colpo di grazia a tutto il settore e ai negozi dei centri storici». Da notare come Verona e il suo territorio sia, dopo Venezia, la provincia con i numeri più alti in Veneto come chiusure di imprese legate al commercio e al turismo. Rispetto al 2012, inoltre, c’è un altro compartimento che sta risentendo pesantemente della crisi ed è quello della ristorazione. Se nel 2012, infatti, i dati facevano segnare a Verona una sostanziale stabilità, con chiusure e aperture che si pareggiavano, nel 2013 il bilancio è di 54 in meno, con 125 iscrizioni e 179 chiusure: «Il problema inizia ad emergere anche nella ristorazione, dove i ricavi si sono assottigliati e le tasse sono aumentate – ha proseguito Meneguzzo – negli anni scorsi gli imprenditori riuscivano, facendo i salti mortali, a non chiudere pur lavorando in perdita, oggi questo non è più possibile e si preferisce chiudere».
Tutte queste chiusure portano ad una disoccupazione diffusa, secondo la Confesercenti, che non riguarda solo gli imprenditori, ma anche i dipendenti e l’indotto: «Quelle che chiudono sono soprattutto piccole imprese dei centri storici, ma se calcoliamo una media di 4 dipendenti per ogni azienda del commercio e 7 nel settore della ristorazione abbiamo un quadro della serietà del problema». Unico settore in crescita è quello del commercio ambulante, dove il bilancio tra aperture e chiusure segna un +32: «Si tratta di numeri che non corrispondono alla realtà – ha commentato Paolo Bissoli, presidente di Anva, Confesercenti – perché molte partite iva sono fittizie e relative a cittadini extracomunitari che di fatto non esercitano. In realtà anche l’ambulantato sta soffrendo e i fatturati sono in drastico calo». La soluzione? «Dobbiamo in tutti i modi impedire la trasformazione delle aree urbane in dormitori, trasferendo le attività commerciali all’interno dei grandi centri. Verona era immune a questo fino a qualche tempo fa, ma oggi, con i progetti in cantiere delle aree Ex-Biasi e Ex-Cartiere, solo per citarne un paio, stiamo rischiando il modello parigino, che negli anni ha portato a concentrare le attività neicentri commerciali, creando in queste Banlieu numerosi problemi di ordine pubblico – ha concluso Tonini –. Il negozio con le sue attività, infatti, serve anche a mantenere sorvegliata e attiva un’area, dove gli acquirenti e l’afflusso di persone genera sicurezza. Verona certamente non è Parigi, ma anche nel nostro caso si tende a proseguire su questo pericoloso modello. Il nostro auspicio è che le amministrazioni comunali, non solo quella del capoluogo, ma anche quelle dei grossi paesi della cintura, premino le imprese virtuose, limitando la grande distribuzione e favorendo la concertazione e la collaborazione tra le piccole attività, incentivandole e limitando la pressione fiscale a livello locale».